Il Prefectus Iudaeae, il Sinedrio e la condanna a morte di Croce di Cristo attraverso i vangeli

Le legioni romane chiamarono il territorio dove visse Gesù Syria-Palestina o paese dei Filisdei, in ebraico Peleshet. Al tempo di Gesù regnava il tetrarcaErode Antipa (4 a.C. – 39 d.C.). A partire dal 6 d.C., la Giudea, l’Idumea e la Samaria furono sottoposte alla diretta amministrazione romana esercitata dal Praefectus Iudaeae, fu Procuratore Ponzio Pilato (dal 26 al 36 d.C) sotto il cui mandato la storia dell’umanità cambiò corso nel nome del Figlio di Dio. Al tempo di Gesù, la Palestina era un paese di ventimila chilometri abitata da pastori, mietitori: I campi biondeggiano per la mietitura (Gv 4,35), allevatori, pescatori, lavoratori ed artigiani della terracotta, del legno e del ferro. Molto diffusa era la coltivazione dei cereali, del grano e dell’orzo, quanto dell’ulivo, della vite e del fico. I frantoi, le forge, la battitura del pettine del telaio segnavano il tempo e il lavoro (la tessitura riguardò anche abilità maschili). Ben nota era l’arte medica: lo stesso evangelista Luca svolgeva tale professione. La parte giuridica e politica era in mano al Sinedrio, composto da settanta unità più uno. Esso  governava su questa gente in merito a decisioni politico e religiose, in riferimento ad azioni di guerra e di pace, amministrava la giustizia  e fondamentalmente si occupava dell’interpretazione della Legge. Sotto le aquile di Roma al Sinedrio fu concesso solo di occuparsi delle questioni religiose e del diritto civile, anzi Roma Cesare determinava la nomina a Sommo Sacerdote. Il termine sanhaedrin  è una trascrizione della voce greca synhedrion (concilio) che è presieduto dal Sommo sacerdote in carica. Esso è l’organo di governo giudaico, ed è anche noto con altri nomi:  Gran Sinedrio, Gerusia, Presbyterium, Boulé (assemblea), Bet din  che significa “tribunale”, “casa del giudizio”. I soldati, dopo avere catturato Gesù nell’orto dello Getsémani, lo condussero nella casa di Caifa, il Sommo Sacerdote. È il tempo della pseudomortoria, cioè della costruzione di false colpe attraverso false dichiarazioni per poterlo condannare a morte.

Un testimone dirà di averlo sentito dire che avrebbe distrutto il tempio per poi ricostruirlo in tre giorni. Il sommo sacerdote chiede se lui fosse il Cristo, il Figlio di Dio e Gesù risponderà “tu lo dici” (Mt 27,11). Da qui l’accusa di bestemmia! Accusa ritenuta sufficiente, secondo il sinedrio, per la sua condanna  a morte (Lc 22,66-71). I servi del sinedrio lo sputano in faccia, lo schiaffeggiano e lo bastonano. Lo deridono dicendogli di indovinare chi lo ha percorso (un modus agendi che diventerà gioco popolare calabrese: il gioco dello schiaffo). Nel vangelo di Marco la risposta all’interrogativo di Caifa se fosse o meno il Figlio di Dio, la risposta è “Io lo sono!” una dichiarazione precisa che non lascia intendere altro. Nel vangelo di Luca non c’è la ricerca di falsi testimoni, ma è Gesù stesso che interrogato (non è detto chi fa le domande)”sei tu il Cristo, diccelo” Gesù risponde “io lo sono” (Lc 22,70). Per il sinedrio non c’è bisogno di altro e lo dichiara reo confesso, deve essere consegnato alle leggi di Roma per la condanna a morte. In Giovanni Gesù viene condotto dai soldati prima da Anna(suocero di Caifa) e poi dal sommo sacerdote in carica che era Caifa. Perché l’interrogazione di Anna? In Giovanni la scorta armata che conduceva Gesù dal sommo sacerdote era seguita a distanza da Pietro insieme ad un altro Apostolo. Non è da escludere che l’altro era lo stesso Giovanni che dal sommo sacerdote, era conosciuto (non è esplicitato  il perché di tale conoscenza). Sarà proprio l’altro  ad entrare nel cortile della casa del sommo sacerdote, Pietro in un primo momento resterà fuori (mentre i sinottici lo raccontano dentro il cortile del sommo sacerdote), successivamente per intercezione di Giovanni/l’altro sarà fatto entrare anch’egli (Gv 18,17). A questo punto non manca che consegnarlo al procuratore romano che, in quegli anni, era Pilato, e farlo condannare. I sinedriti decidono di portarlo all’indomani. Nel 27 d.C., Ponzio Pilato succedette a Valerio Grato che era stato governatore della Giudea dal 15 al 26 d.C., il quale aveva sostituito il sommo sacerdote Anna con Caifa. Pilato con le sue truppe entrò in Gerusalemme con le insegne di Roma, vilando la Legge giudaica, al punto che tale violazione fu reclamata all’imperatore Tiberio e le insegne furono ritirate. In seguito, Pilato volle usare il tesoro del Tempio per costruire acquedotti; molti si opposero, ma questa volta fu un massacro per mano romana. In terra di Giudea il destino di Pilato si incrocerà con quella di Gesù, portato difronte a lui da parte dei sinedriti per farlo condannare alla morte di croce.

Pilato venuto a conoscenza che Gesù fosse galileo lo mandò da Erode, sotto il cui governo ricadeva il territorio della Galilea, il quale in questi giorni si trovava  a Gerusalemme (Lc 23,7). Erode vuole sapere la “verità”, seppure l’avesse difronte e, dopo averlo schernito, lo rimandò da Pilato.  Nel vangelo di Marco si legge che l’interrogatorio di Pilato avvenne nella mattinata alle ore 9 (ora sesta). “Sull’accusa di essersi fatto re dei Giudei, titolo che era stato soppresso dai Romani dopo la deposizione di Archelao, Pilato lo interrogò: tu dunque sei re?  Rispose Gesù:  tu dici che io sono re. Io a questo fine sono nato e a questo fine sono venuto al mondo di rendere testimonianza alla verità: chiunque sta per la verità, ascolta la mia voce”.  E Pilato rispose:  Che cos’è la verità?”

Matteo e Marco raccontano, senza mezzi termini, che a tutto ciò si è giunti per l’invidia che accecava i sinedriti e per primi i sommi sacerdoti. Pilato tenterà in ogni modo di dichiararlo innocente: lo vede uomo giusto!  Dapprincipio, non diede peso alle accuse rivolte contro Gesù da parte dei sinedriti, che rincararono la dose accusatoria in termini politici: come l’avrebbe presa Cesare se un suo governatore non avesse tutelato gli interessi di Roma, permettendo ad una persona di dire alla gente di non pagare il tributo a Cesare? Naturalmente, tutto ciò era falso (Mc 12,13-17), il Figlio di Dio era venuto non per condannare o dichiarare guerra a qualcuno, ma per salvare l’umanità dalla sua malvagità. Ma la folla grida (non tutta), su pagamento degli uomini del sinedrio, “crocifiggilo!” per più volte. Pilato cede alle voglie del popolo e dei sommi sacerdoti e procede alla fase della punizione, preludio alla morte, seppure spera di sedare le voglie di morte dopo tanto martirio. Gli sarà posta sulla testa una corona di spine, sarà spogliato dalle sue vesti e gli sarà messo un manto scarlatto e per scettro gli sarà data una canna con la quale poi verrà percosso: Ecce homo. Tutto ciò non servirà a niente. Ed è a questo punto Pilato non vuole che la morte di tanta innocenza ricada su di lui e si lavò le mani: io sono innocente del sangue di questo giusto: pensateci voi e lo rimise ad essi. (Mt 27,24-26) A questo punto sarà caricato di croce,  e Gesù, deriso, flagellato, cadente sarà condotto al Calvario per essere innalzato al cielo.

Nel 37 d.C. Pilato Passò in Gallia per ordine di Caligola che, nel frattempo, era succeduto a  Tiberio. La tradizione vuole che egli sia stato esiliato a Vienna dove si uccise nel 40 d.C. in quel luogo detto Pretorio di Pilato.

Prof. Pino Cinquegrana Antropologo

Prof. Pino Cinquegrana
Antropologo