U pirrocciulu: l’antico gioco degli dei giunto nei paesi dell’angitolano dall’antica Grecia

Parrocciulu, pirrocciulu, piroci, rumbula, strumbula tramandano in Calabria l’antico strumento di gioco in uso in Grecia e nella Roma imperiale. Parliamo della trottola in legno di bosso, di ulivo o di quercia (legni duri) dai quali realizzavano una forma conica filettata, con punta in metallo detta freccia. Uno strumento di gioco alto 10 cm circa per una larghezza massima di 8 cm. Intorno alla filettatura uno filo di spago o funicella permetteva di lanciare lo per terra e farlo girare velocemente. Per secoli, u pirrocciulu è stato il gioco di adolescenti che hanno giocato secondo l’antica tradizione delle terre del Mediterraneo. Forme di questa trottola sono state trovate durante scavi archeologici in Mesopotamia, nella città di Troia quanto a Pompei. Plinio, Aristotele, Platone, Polluce raccontano nei loro scritti di quest’oggetto di gioco (lat. Iocus – verbo jocari) che costituivano persino forme educative in termini di competizione. Vinceva chi faceva girare di più la propria trottola- pirrocciulu . Altra forma di sfida era di raggiungere un punteggio elevato lanciando al centro di un cerchio lo strumento di gioco il cui valore ottenuto era in riferimento la cerchio di caduta.

Una sfida, dicevamo, che rientra nella simbologia della lotta che pone da un lato un vincitore e dall’altro un perdente e al vincitore va il premio di riconoscenza quale campione del tipo di competizione o quanto scommesso in denaro o trofeo. U pirrocciulu (che in alcuni paesi della Sicilia è persino monumento, memoria e ricordo dell’infanzia di quanti hanno trascorso ore ed ore tra le rughe quanto nelle piazze del paese. Oggi non si gioca più ma continua ad essere in vendite nelle bancherelle delle feste paesane. Continua ad essere guardato come l’oggetto ambito nonostante i suoi seimila anni di storia. Esso era lo strumento di gioco preferito da Dionisio. È il gioco degli dei che nel tempo consegnarono ai mortali per comprendere quanta tensione anima il giocare con questa piccola trottola la cui abilità principale era di cercare, da parte del lanciatore, di colpire, con la punta ferrata u pirrocciulu del primo lanciatore, distruggendolo e aggiudicarsi la partita, la scommessa, la sfida o la lotta.

Bravure erano sottolineate dalla capacità di fare girare più a lungo questa trottola di origine asiatica e giunta a noi attraverso la Grecia; riuscire a recuperare da terra u pirrocciulu e farlo girale sulla mano per qualche secondo per poi rimetterlo a terre e farlo continuare a girare. La tipologia di lancio del pirrocciulu si racchiude in due tipi di tiro: a tiralazzu, cioè lanciare con forza per dare una partenza rotatoria che preannuncia una lunga durata; a mazzacan, viene scagliato a terra con l’intenzione di colpire u pirrocciulu dell’avversario e vincere la partita. Il perdente perdeva anche il suo pirrocciulo che diventava il trofeo del vincitore. Proprio per l’aggressività del tiro mazzacani, oggi questo termine viene detto di persona dai comportamenti grossolani. Spesso, prima di iniziare una sfida, si recitavano delle formule magiche a protezione dell’oggetto- pirrocciulu affinché non venisse colpito con facilità:

addazzu pe’ picuni
si servi minu
sinnò mi sdirrazzu.
[mi allaccio contro l’altro, se serve colpisco, altrimenti mi slaccio (mi faccio da parte)]

Ancora oggi nei paesi dell’angitolano come Maierato, Monterosso, Capistrano, Francavilla Angitola, durante le fiere in occasione delle feste dei santi patroni u pirrocciulo realizzato nelle botteghe serresi fa bella mostra di sé nell’attesa che qualcuno voglia fare un tiro e riproporre l’esaltazione dell’estasi recuperato dal ballo della taranta.


Prof. Pino Cinquegrana
Antropologo