Il mondo popolare nella fotografia di Mario Greco

Ogni fotografia è in realtà
Un mezzo per mettere alla prova
Per confermare e per costruire
Una immagine totale della realtà.
John Berger

La fotografia è rappresentazione di qualcosa e, in quanto esito di un’azione inserita nel flusso del tempo e, nel suo darsi, si trasforma immediatamente nella rappresentazione di qualcosa che è (già) stato. Nella fotografia un istante di tempo si trasforma in pura presenza senza una fine. La fotografia, dunque, ha la funzione di presentificare il passato e, nel suo agire, il fotografo, per un istante entra in un frammento del passato.

Sguardo e memoria, immagini di gente comune diventano nell’opera di Mario Greco testimonianze di mondi plurimi: rurale, contadino, della famiglia, della festa, del lavoro, della campagna, della fede. Un discorso visivo che allo stesso tempo è documento tangibile di una società antica di cui rimangono ancora l’infinità delle emozioni, del “sublime” fatto di luoghi, linguaggi, relaionalità, gesti, ritualità, parole.

Marcel Proust, nella sua “Recherche”, definisce la fotografia  come il risultato  della capacità di interrompere il flusso continuo e incessante di pensieri e sentimenti…il fotografo, secondo Proust, parteciperebbe alla realtà circostante nella condizione di testimone distaccato, di osservatore estraneo; nulla di ciò che vede  è carico di ricordi che potrebbero impedire o determinare  l’ampiezza della sua visione…(cfr in questa dimensione Michele Cordaro, in Alfonso Lombardi Satriani, 1988). Un mondo variegato quello di Mario Greco che presenta nella monumentale opera “Calabria Storie di uomini e di terre” edito da Progetto 2000 di Cosenza che presenta l’identità antica di una Calabria crocevia delle culture del Mediterraneo,  una ricerca del tempo perduto spazio/tempo in cui Mario Greco si pone dietro la sua Kanon in posizione di colui che registra donne con fasci di peperoncino come se portassero mazzi di rose, falciate di grano (gregne) che il contadino innalza al cielo ad invocare protezione e abbondanza, sguardi di uomini, donni e bambini, organetti e balli tradizionali che raccontano le radici di un popolo forte le cui rughe segnate dal tempo sfidano ancora il cielo.

La sostanziale differenza nel guardare le immagine di Mario Greco risiede nella capacità di considerare le immagini non tanto come copia o attestazione di una realtà, ma come informazioni sulle alterità, un percorso di studi denominato di Antropologia Visuale, come presentato in apertura del volume da Demetrio Guzzardi Rettore Universitas Vivariensis.


Pino Cinquegrana
Antropologo