L’Europa e la via dell’Arte

Si è appena conclusa la mostra Traiettorie Postmoderne, nella splendida cornice di Palazzo Rosari Spada a Spoleto, nell’ambito dello Spoleto Art Festival, mentre è in corso una importante esposizione nella sede del Parlamento Europeo sotto lo sguardo attento di Luca Filipponi e Paola Biadetti. Almeno da questo punto di vista sembra che l’Italia riesca a stare, sulla cresta dell’onda, rispetto alle altre nazioni europee, impegnandosi in una serie di grandi antologiche e retrospettive, che sono autentiche pagine di storia “contemporanea” dell’arte, aprendo dibattiti su questioni di poetiche e di tecniche, che sono ancora di stretta attualità e sono di superba pedagogia per le giovani generazioni, intrigate dalle molteplici forme e materie dell’arte. D’altra parte, il concettualismo è diventato una forma strutturale di teorie e prassi che vanno ben oltre la storia, perché ormai è storia, dell’arte concettuale, propriamente detta, che contamina gli stessi modi di pensarla e codificarla linguisticamente.

L’arte di oggi se non la vedi in galleria o nel museo, rischi di non riconoscerla come tale, perché le sue distinzioni dai fenomeni della moda, del design, dello spettacolo, del comportamento, sono molto sottili, così come molto labile è la linea di continuità tra arte e arte ma forse meglio tra arti e arti, con la i, contemporanee tra di loro e storia dell’arte, quella che si conclude a fine Ottocento, con l’impressionismo. Prima, tutto procedeva nel segno dell’identità, dell’onda lunga, che legava ogni cosa e soprattutto le trasformazioni erano molto lente, ma poi tutto si è accorciato, frammentato, creando un grande disorientamento; però col tempo abbiamo non solo imparato a saltellare ma anche a correre velocemente, a comprendere che il poetico dell’arte può essere anche post estetico e post stilistico, senza cessare di essere artistico e senza cessare di destare curiosità e interesse, come dimostrano gli sperimentalismi delle Avanguardie Storiche, ampliamente documentati nella mostra di Spoleto, e via via fino all’arte totale, che visti in un contesto fondativo, museale, dimostrano di essere dei forti codici personali della discontinuità, gli stessi che hanno attraversato il cinema, il teatro, la poesia, la narrativa e che sono diventati, a loro modo, dei classici di questo nostro tempo che è di stretta attualità, che non ha il tempo di rendersi conto di una cosa, della sua consistenza, che è già passata, che è già memorizzata, nelle parole e nelle icone dei media, degli imperativi, ontologici che vietano, orientano, indirizzano, approvano e decidono, ciò che è buono da ciò che non lo è.

La riserva mentale all’ineliminabile universo dei media è sempre più flebile e disordinata, per questo è necessario darsi momenti catartici come questi, rendendosi conto che la città ha bisogno di creativi in tutti i campi, di inventori di lineamenti e trasversalità nuove, perché altrimenti appaiono le rigorosità e le ombre della sera e comincia la decadenza che è soprattutto mentale, la sigla di Spoleto, così come in qualsiasi altro luogo, non può reggere senza una concorrenza di laboratori, scuole, senza individui scapestrati, visionari, che possano immaginare icone del futuro così come le musiche, le architetture e le stesse ricchezze e avidità. Da queste belle e corpose realtà espositive e dai momenti culturali che da esse nascono, occorre tirare le fila di un programma di attività, fatto di prove e sperimentazioni, di enigmi e provocazioni che significhino, la vita. È necessario che l’Italia si dia un grande programma laboratoriale, prendendo come modello quello di Spoleto, che dia ai creativi del presente gli stessi spazi e occasioni che i Sargentini, i Marconi, i Gian Ferrari, gli Amelio, i Morra, i Trisorio, i Sapone, i Rumma, gli Incisetto, i Minini, hanno dato a quelli degli anni Ottanta e quindi non si tratta qui, di lavorare di fino cercando, subito i genii e i capolavori, ma di operare con una rete a maglie strette, che sia il più possibile inclusiva, che permetta tante esperienze e tante diversità.

Utilizzare i tanti spazi vuoti o degradati delle metropoli, in centro e in periferia, o gli spettacolari centri storici italiani, per attirare artisti, farli sentire a proprio agio, fornendogli i luoghi materiali da cui fare partire gli input di beni immateriali da proporre a imprenditori, collezionisti gallerie e musei, per i maestri del futuro, perché non si perda l’attualità e il rapporto con il passato prossimo e non ci si trovi a ridosso del passato remoto, nel rimpianto di “come eravamo”, tenendo presente che nel mondo liquido, in cui viviamo, è possibile essere tirati via per lo sciacquone, in meno che non si dica, perché come ci insegna Zygmunt Bauman, tutto sta aumentando in deperibilità e tutti rischiamo la scomparsa dell’insignificanza.

Così, come si passa faticosamente dalla povertà alla ricchezza, si può passare facilmente dalla ricchezza alla povertà, è tutta una questione di intelligenza e di volontà, ma anche di ceti dirigenti e imprenditori che non riducano a diventare ricchi e redditieri da terzo mondo, incapaci di dare, del centro al centro storico, del verde al verde, della scienza alla scienza, della creatività alla creatività. Giocando ognuno nel proprio hortus conclusus, non c’è salvezza per nessuno, c’è bisogno che tutti si occupino di tutti, dando ai giovani e meno giovani la possibilità di entrare in scena a farsi valere, tanto poi, come sempre accade, molti si stancheranno e abbandoneranno, ma è importante che la porta sia stata aperta, sia aperta e permetta all’energia, alla vitalità, alla creatività di manifestarsi in pensieri, parole, opere. Questo è il compito di tutto il sistema culturale, che si organizzi come organismo funzionale e competitivo.

 

 

 

 

 

Prof.Pasquale Lettieri
Critico d’arte