Infanticidio, abusi e trauma. Quali sono le cause?

La cronaca racconta troppo spesso di storie contro natura e raccapriccianti, storie di bambini indifesi a cui viene tolta brutalmente la vita per mano di chi la vita gliel’ha data.
Uccidere un figlio prende le sembianze di una terribile esecuzione, di un dramma inspiegabile ove la violenza, il maltrattamento e la barbarie prendono il sopravvento sulla protezione genitoriale, sull’amore, sull’accoglienza e sulla tutela nei confronti di chi si affida completamente a qualcun altro, di chi si affida ad un adulto di riferimento con naturalezza.
Un genitore, o una coppia genitoriale, che fa del male al proprio figlioletto perde l’aderenza alla realtà dopo un presumibile periodo di difficoltà e di insofferenza, dopo aver inviato segnali celanti rancore profondo, segnali che probabilmente non sono stati colti dalla rete di familiari, amici e conoscenti.
Quanto appena detto non mira certamente a colpevolizzare chi non ha visto, non è semplicemente puntare il dito verso chi ha sottovalutato i segnali di maltrattamenti, negligenze e abusi sfociati poi in un’inaudita violenza omicida.
Il punto è che si parla troppo facilmente di raptus, ma è inappropriato, si trascura di fatto che prima di arrivare ad un drammatico figlicidio è probabile che ci sia stato altro, pertanto altro potrebbe essere stato comunicato e non colto.
Si tratta spesso di storie di bambini vittime di abusi, bambini traumatizzati a cui il diritto alla vita è stato tolto fin da subito.
Essere genitori non è certamente semplice, e l’idea che sia naturale esserlo è, a mio avviso, un concetto semplicistico ed ingenuo, l’essere madre e padre non è puro istinto, non è inoltre soltanto qualcosa di idilliaco e di poetico, non è solo amore puro ed infinito, essere madre e padre porta con sé anche molte angosce e vissuti emotivi di paura, sconforto, rabbia, ansia.
Riconoscerlo con consapevolezza, ed educare a farlo, potrebbe essere uno dei primi passi per poter prevenire e anticipare situazioni clamorose e disturbanti.

Molti genitori, più di quanti possiamo credere, nella gestione quotidiana dei propri compiti, spesso si ritrovano a fare i conti con emozioni spiacevoli e intense, e inevitabilmente succede perché è naturale che avvenga.
In un primo momento provano, in solitudine, ad evitarle, nasconderle, eliminarle, rispettando la credenza comune secondo cui ciò che porta sofferenza va obbligatoriamente soppresso con tutte le proprie forze.
Sono emozioni intense che possono sopraffare, possono apparire insormontabili e arrivare a travolgere.
Questo non è giustificare efferatezze indicibili quanto piuttosto fare un’analisi più attenta di tali sconcertanti accadimenti.
Le emozioni sono risposte complesse che vanno regolate, tenendo conto che ci sono fattori che possono complicare tale regolazione, i fattori biologici, dunque innati, possono rendere più difficile regolare le nostre emozioni, ma anche l’instabilità umorale, la mancanza di abilità, la ruminazione e il rimuginio in un periodo di sovraccarico.
La regolazione dei vissuti emotivi è di vitale e indiscutibile importanza perché permette di agire in modo funzionale e consapevole.
Sono tante le situazioni a rischio, più di quelle che si possa pensare. Troppo spesso, infatti, i figli sono vittime giornaliere di situazioni genitoriali mal gestite, non poche volte diventano bersagli di vendette in caso di amori finiti, o merce di scambio in caso di separazioni difficili, vittime di soprusi, di minacce e di ricatti. Sono situazioni in cui più difficilmente si gestisce l’intensità dei propri vissuti emotivi. Talvolta i bambini sono visti come la causa dei propri problemi e della propria infelicità, i genitori in reazione a questo, accecati dalla rabbia e schiacciati dalla paura, dalla frustrazione o dalla collera, possono ritrovarsi ad agire spinti da impulsività incontrollata, impulsività che, se non gestita, porta ad una mancata integrazione della parte emotiva con la parte razionale di se stessi, potrebbero così iniziare a devastare la psiche dei propri figli, infliggendo pertanto dolore, sofferenza, umiliazione costante e continuativa.
I figli, ancor prima di essere ammazzati, vengono così uccisi ogni giorno, privati del diritto di vivere in un “posto sicuro”, spogliati dei propri bisogni, non riconosciuti in quanto persone prima ancora di essere visti e accolti come figli.
Sono figli senza pelle che conoscono il dolore infinito prima di potersi perdere nella sicurezza di uno sguardo rassicurante, sono bambini di nessuno che vivono scatti d’ira implacabili, in contesti ove nessuno sembra sentire, vedere e accogliere.
Le notizie, che giungono a tutti noi dalla cronaca più efferata, sono aberranti, inaccettabili, indescrivibili nell’intrinseca inenarrabilità, sono le notizie che ci fanno rabbrividire e che ci conducono nei sentieri dell’impotenza.
Perché un figlio non è un gioco o un oggetto da usare a proprio piacimento, da buttare quando non serve più o quando pensiamo possa arrecare danno all’andamento delle nostre vite.
Al sentire di accadimenti che sconvolgono i nostri animi ci sentiamo quindi inermi, ci sentiamo chiamati in causa quando i gesti sono già compiuti e quando le vite, oramai spezzate, non possono certamente essere restituite, è a questo punto che ci facciamo domande, è a questo punto che rabbrividiamo, cercando, al contempo, di analizzare e dare spiegazioni accettabili, la più accettabile e rassicurante tra tutte è sicuramente quella della follia, è il nostro rifugio più pacifico e accomodante.
Ma è anche il momento di chiarire che a questo punto siamo arrivati in ritardo, che le analisi sono ben accette soltanto se sono basate sull’idea di dover cambiare lo stato delle cose, di dover iniziare a rimboccarsi le maniche per partire dall’educazione emotiva, per prevenire e quindi intervenire fattivamente e con senso pratico in situazioni familiari che sono evidentemente fondate sul disagio più profondo.
La prevenzione autentica e reale, strutturata e non improvvisata, è un’arma potente che può sostenere, risolvere, aiutare e che ci farebbe arrivare in tempo all’appuntamento con la vita, nello specifico con la vita di bambini che mai dovrebbero ritrovarsi a sentirsi soli, impauriti, persi, abbandonati in occhi pieni di odio e rancore, occhi che dovrebbero rassicurare e riconoscere; sono bambini che, nella loro fragilità, non hanno chiesto di nascere, ma che, visto che sono nati, con occhi grandi e speranzosi, chiedono di aggrapparsi alla vita, chiedono ciò che è naturalmente in proprio diritto, chiedono quindi di crescere accompagnati da genitori che meriterebbero di essere ascoltati e sorretti in caso di bisogno, e di essere aiutati per imparare ad essere genitori di figli che crescono e che non muoiono per mano loro.
Molto si può fare e molto si dovrà fare nei tempi più adeguati per non ritrovarsi nuovamente a parlare di vittime indifese.

Dott.ssa Rosetta Cappelluccio
Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale
Docente e supervisore Istituto A.T Beck Roma e Caserta
Conduttrice gruppi DBT adulti e adolescenti
Consulente tecnico d’ufficio per trauma neglect e abuso
Responsabile ambulatorio psicopatologia ospedale Buonconsiglio
Fatebenefratelli Napoli