Emilio Tadini: Sguardo Onirico

Spazio Tadini è una delle case museo della città di Milano in seno al circuito che raccoglie 15 luoghi/città, dove hanno vissuto personaggi che hanno dato un contributo artistico e culturale alla città. In questo edificio aveva dimora e studio artistico uno dei più significativi pittori e scrittori milanesi del ‘900: Emilio Tadini. A lui è stato dedicato questo luogo d’arte e cultura fondato da Francesco Tadini, suo figlio, regista ed autore televisivo e di Melina Scalise, psicologa e giornalista, poi diventata sua moglie.

L’idea era di lasciare di Emilio Tadini un ricordo vitale e propositivo per l’arte e la cultura a Milano. In questo luogo, c’è molto di lui, ci sono i suoi quadri, la sua nicchia dello studio con il lavello e i pennelli ancora intatta e tanti dei suoi libri e quaderni. Ma non è solo un luogo della memoria, un museo contemplativo del passato, ma vitale e propositivo, aperto agli artisti e alla cultura così come Emilio Tadini era attento ai giovani e alle avanguardie. Oggi il suo atelier ospita opere di artisti giovani e meno giovani, noti e meno noti, italiani e stranieri. L’ecletticità che ha contraddistinto il lavoro di Tadini è stata traslata in un luogo fisico: Spazio Tadini. Dal 2006 con i primi eventi e poi come associazione culturale dal 2008, Spazio Tadini è un luogo che offre spazio all’arte, alla musica, alla narrativa, alla poesia, alla saggistica, al teatro, alla danza e ai dibattiti culturali. Qui si sono incontrati decine di artisti, e sono nate idee e progetti che hanno messo in relazione arti diverse. Questo in una dimensione umana e temporale che ricorda la Milano della ricostruzione del dopoguerra e del boom economico in cui nascevano case editrici, riviste e grandi e piccoli luoghi d’arte che vennero del resto molto copiati anche all’estero. Emilio Tadini nasce nel 1927 a Milano. Nel 1947 pubblica il poemetto La passione di san Matteo sul «Politecnico» di Vittorini. Negli anni Cinquanta inizia la sua carriera di pittore che nel giro di un decennio lo avrebbe portato ai vertici dell’arte italiana contemporanea. Sul fronte della scrittura il suo primo romanzo è Le armi l’amore, del 1963. Poi, dopo un periodo dedicato esclusivamente alla pittura, è la volta di L’opera (1982), La lunga notte (1987), La tempesta (1993), Eccetera (2002). Del 1991 è il suo libro di poesie L’insieme delle cose. Due le sue pièces rappresentate a teatro: La tempesta (tratta dal romanzo, 1995) e La deposizione(1997). Sempre per il teatro ha tradotto Re Lear (2000). Importanti anche i suoi interventi saggistici, come La distanza (1998) e L’occhio della pittura (1999).

Per molti anni scrive sul «Corriere della Sera» e fa del giornalismo culturale di alto livello, anche televisivo. Presiede l’Accademia di Brera dal 1997 al 2000. Innumerevoli le sue mostre personali in Italia e all’estero. Una delle più ricche è la grande retrospettiva di Palazzo Reale, a Milano, del 2001. Muore nel 2002 nella sua città. Dipingere per Tadini è costruire un testo, anzi ricostruirlo, scomporlo e ricomporlo. L’artista ha in questo senso una lunga storia ma il suo modo di scomporre e ricomporre, appunto, i testi, non è sempre eguale a se stesso, non è sempre dipendente dallo stesso modello ma fa riferimento a culture, a scelte, a tradizioni differenti. Ma presto, in quel sistema di racconto che faceva riferimento alla memo­ria letteraria, alla memoria pittorica, ma pur sempre a un mondo del passato dove gli elementi sin­goli, i frammenti, le allusioni, si sovrapponevano, presto in quel mondo si inserisce come a scardinarlo la contestazione, la contestazione che viene dalla ricerca della Pop Art. Ma Tadini propone dell’altro, assume i ritagli, le sagomature, le convenzioni espressive della Pop Art e insie­me della pubblicità, egli ricerca un sistema di associazioni che è di per sé singolare perché intreccia le forme, appunto assunte da quei modelli, e una diversa attenzione a un distinto livello problematico. Emilio Tadini intreccia la psicoanalisi con l’invenzione dell’immagine. “La fatica della pittura… – scrive Emilio Tadini – La fatica, prima di tutto, del consistere. Di una figura, ma non solo. Davvero, come quando si mette faticosamente insieme un oggetto secondo la tecnica del bricolage. E cioè mettendo insieme pezzi che non c’entrano, che provengono ognuno da un organismo e da una storia diversi. Pezzi che sono in qualche modo sopravvissuti a una separazione, a una consumazione, a una distruzione. Pezzi che sono sopravvissuti, comunque, allo sciogliersi di un intreccio – di un testo – di legami, di relazioni. Ridotti, quei pezzi, da organici che era­no, praticamente, a inorganici. Per essere alla fine inseriti, innestati, in un altro organismo”.

Pasquale Lettieri